“ Emotivamente esaltati ed esaltanti, i suoi dipinti realizzano un equilibrio tra ragione e inconscio, tra ironia dell’ellissi e descrizione narrativa, tra concentrazione e dispersione.
“ Stelman non intende assolutamente copiare la realtà quotidiana. Egli è dotato di una forte e prepotente carica immaginativa a tal punto che è completamente autosufficiente a rideterminare in proprio il ciclo della cosmogonia, dal caos primigenio alla nascita del mondo, che sta lì per nascere, come notato. Ed’ è proprio di questa forza dell’immaginazione che l’arte stelmaniana attinge linfa.
“ L’analisi punta sull’archetipo, al primario e si fa scienza del visibile. Brandelli d’immagini si addensano sulla tela senza soluzione di continuità, trasformandola in una carta topografica da percorrere e magari da indovinare oltre i suoi stessi limiti fisici.
“ Il ricorso al simbolo e alle sineddoche corrisponde infatti per Stelman ad una vera e propria tecnica psicoanalitica: i segni che si accumulano sulla superficie del quadro fino a riempirla interamente, ad una lettura più attenta, sono in sintonia con una parallela azione di automatismo dell’inconscio. Non è un caso che l’artista aretino dipinga cominciando dai margini, e non dal centro, facendo cioè “crescere” l’immagine per progressione rettilinea in sezioni verticali, ignorando, almeno all’apparenza, ogni preordinato criterio compositivo.
“ La tecnica, già misurata e consapevole, del linguaggio stelmaniano non appare altro che raramente nella sua veste abitudinariamente formalistica. Diciamo anzi che la tecnica di Stelman serve alla definizione in modo pertinente della complessità della dimensione nella quale si muove il suo discorso, quel discorso dicevamo, di relatività microcosmale in cui pure avanza come essenziale la irriducibilità del momento cognitivo, la configurazione di un giudizio che è insieme estetico ed etico sul mondo.
“ Una visione ancora appassionatamente “umanistica” che continua a partire da presupposti deconstruzionistici, per afferrare però un pensiero non più così debole. Nell’epoca della riproducibilità tecnica della trasgressione, tanto rigore filosofico è, di fatto, un’insostenibile provocazione: nei dipinti di Stelman non c’è nulla di manifesto e nulla di ermetico, manca l’autocompiacimento narrativo, forse perfino il puro e semplice piacere della materia, a meno che essa non sia puramente pittorica; e tanto basta per allontanarli da quasi tutte le esperienze contemporanee, che su quei principi, invece, si fondano. Sono allora scritture mentali da decifrare attraverso quel microscopio galante che condensa l’etica del libertino e l’estetica dello scienziato. Sono universi della memoria, che solo l’arte consente, in quanto strumento della conoscenza.
“ Il poeta già ci ha indicato il senso dell’immagine: si cammina lungo un muro che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia. Montale, nella sua famosa poesia, aveva già delineato quanto noi si vive dentro il tempo del camminare esistenziale. Il camminare ovvero nel tempo dell’attesa a risposte mai giunte per domande ossessive, per attese snervanti.
“ Celebrate quindi in modo adeguato le emozioni dell’inconscio, l’insondabile fondo implicazionale della realtà interiore ed esterna, la pittura di Stelman si offre quale risoluzione in atto della sua stessa complessità e in definitiva, del suo irrisolto coefficiente di mistero esistenziale.
“ L’insinuazione è trasparente: l’universo di Stelman non vuole né può essere altro che quello mediato dalla convenzione tipografica, dalla riproduzione meccanica. Dunque, un universo di “seconda mani”. La mistificazione ha dato scacco matto alla realtà sostituendosi ad essa e producendo la più mostruosa operazione di mimesi che sia mai stata realizzata. E l’uomo, che è la creatura più adattabile dell’ordine animale, ha dato inizio ad un processo di assuefazione al nuovo habitat scambiandolo per vero, anzi, per l’unico possibile. Il big bang iniziale di questa stagione del mondo potrebbe somigliare alle raggelate cosmogonie di Stelman.
“ Il reale di cui Stelman parla è il reale dell’immagine quantificata, abbrutita dal consumismo della carta stampata e dell’immagine ad uso di consumo sociale: l’immagine offerta dai mass media è l’immagine che mercifica se stessa e diseduca chi la guarda. Allora il pittore compone un collage, un arazzo strapieno di immagini che, tolte al reale della immagine quantificata, sono ricomposte secondo la legge della armonia compositiva, secondo la legge dell’ispirazione creatrice. La pittura quindi restituisce la qualità ed il valore della qualità ad immagini altrimenti destinate al macero della vanità ed alla volgarità del consumismo. La pittura invece invita alla ricezione lenta, alla ricezione meditativa, filosofica addirittura.